sabato 17 aprile 2010

la scena




Due burattinai, un tappeto, una cassa per legna da ardere, un gruppo di teste ardenti – non da ardere-: le teste di legno. L’animazione dei burattini fatta “a vista” nello spazio scenico contenuto dal tappeto. Il richiamo alle forze inconsce e ancestrali che ci muovono nelle nostre azioni quotidiane è palese: il burattinaio diviene la radice profonda che ci muove, ci da le emozioni, la memoria, perchè conosce già il copione, l’ha riscritto. Il nostro copione, così simile per analogia al fato, alla nostra storia già scritta, è già impresso nelle varie memorie cellulari, cosmiche, pulsionali, e si snoda nell’arco breve e -per noi- sorprendente della vita. Ma il burattino, come l’essere umano, può sempre improvvisare –naturalmente su canovaccio- e dare una spinta decisiva al proprio destino immergendosi, forse, ancora di più nella parte assegnata. Quindi sulla scena le presenze “en plein air” del burattinaio, radice inconscia e demiurgo della realtà, e il burattino parte emersa del dramma che è sogno della vita apparente. Un gioco di rimandi percettivi allo spettatore, che vive in contemporanea la visione rappresentata di realtà-sogno, di conscio-inconscio; il burattinaio è pulsione all’agire del burattino. Ancora una volta scegliamo come valore stilistico e drammaturgico la via dell’essenza, ovvero scena spogliata d’orpelli ingombranti e attori-burattinai e burattini a occupare di semplicità lo spazio aperto e vuoto.

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